domenica 23 novembre 2014

Foxy face

His nose is long and strait like a Greek God. I love running my index finger down it.
The little rippling wrinkles under the corners of his eyes move like waves when he smiles, his eyes stretch into a thin line and all I can see are those waves… I want to drown into them…

His chin and forehead are scarred, those scars suit him. Scars on the skin and scars hidden deep into his heart. I want to rip them apart and stich them close again, forever.

His beard tickling my lips, tickling my neck and ears, soft and hard at the same time.
His upper lip a perfect Cupid’s bow… his lower lip trembling in extasy, wet and hot. Scorching hot, it’s burning me inside out and I scream…

When he closes his eyes and relaxes for a while he looks like an angel, his thick hair is like a hazelnut sea, I play with it, roll it around my fingers, smooth it out again and again… and he exhales and opens his eyes.

He’s got stories behind those eyes, stories that he never tells, an entire tangled world of feelings and emotions… I’m not able to understand even half of it, but it fascinates me… It enchants me and drives me away in wonderland.

He’s special, my little Greek God, and he doesn’t even realise it. He walks and burns away the earth he steps upon, fiery, gorgeous, alive.

sabato 8 novembre 2014

Io ti vedo


Cammina nel bosco, senza pensare, un passo dopo l'altro, un metro dopo l'altro, veloce, determinato, ma senza meta. Lo spinge la necessità di allontanarsi il più possibile da ogni segno di vita umana. Ha bisogno di solitudine, di natura, di alberi, di bosco che gli entri sotto la pelle, dentro il sangue avvelenato, per liberarlo, per fargli sentire che è ancora vivo.
Di colpo si ferma, come un lupo allunga la gola verso l'altro, tende le corde vocali, i peli della barba ispida e brizzolata fremono mentre un urlo prima strozzato e poi libero e agghiacciante pugnala la foresta. Resta così, immobile, con il diavolo che gli esce dalla bocca per minuti… o forse ore? Non ha importanza il tempo, non ha importanza. Gli animali dapprima spaventati dalla sua presenza lo accettano ora come uno di loro.

Nel fiume vede rifressa la massa rossa e selvaggia dei suoi capelli, nemmeno il cappellino riesce a nasconderne la natura ribelle. Fa freddo in montagna, non ci sono abituata. Si rigira le dita all’interno delle moffole che la fanno sentire sgraziata, mutilata. Non posso disegnare con questo freddo e con questi guanti…
Il desiderio di studiare le forme di uno scoiattolo l’ha fatta allontanare dal gruppo. Non si è spaventata quando si è ritrovata da sola nel bosco, non è la prima volta che si perde dietro a un’immagine che la colpisce, quasi le piace perdersi, le persone no. Non vede grazia e bellezza nella gente, non parla quasi mai e non ha amici. Ha solo un insaziabile bisogno di disegnare.
Il vento fa ondeggiare dolcemente un filo d’erba, lei si toglie un guanto e lentamente avvicina il dito per sfiorarlo… e un urlo le raggela il sangue. Spalanca gli occhi, sembra un cerbiatto spaventato, scatta in piedi, ma invece di scappare il suo corpo la spinge verso quel rumore, ipnotico e potente, la fa vibrare. L’aria le sfugge dalle labbra in sottili e veloci respiri, creando un lieve sbuffo di vapore che subito scompare per essere sostituito da quello successivo. Le guance già rosse dal freddo si colorano e si riscaldano, un ramo le ruba il cappellino e i capelli finalmente liberi impaziscono e si contorcono come tentacoli intorno al suo viso.

L’ululato finisce, non c’è più aria nei suoi polmoni e stupito apre gli occhi. Non è il freddo a farli lacrimare, lo sa bene. La testa gli cade sul petto, si guarda le mani vuote, grandi, callose, forti, ma vuote, vuote, vuote… Le vede avvicinarsi centimetro dopo centimetro al suo viso, e ora non vede più nulla. Cade in ginocchio e la sua schiena è scossa da singhiozzi muti.

Spiazzata dall’improvviso silenzio si ferma, il rumore della sua corsa inopportuno. Ha il fiato corto, appoggia la mano su un albero, la corteccia secca e ruvida le punge la pelle, la osserva per un attimo, ma il suo interesse viene attratto da qualcos’altro. C’è un uomo in ginocchio a pochi metri da lei.
Una forza la spinge verso di lui, i suoi occhi stregati da quella figura inginocchiata, accasciata su se stessa, scossa da tremiti.
La sua mano si contrae, la corteccia le taglia la pelle delle dita, i polpastrelli le si colorano di rosso.
Io ti vedo.

Inspiegabilmente calmo si alza in piedi.
Si gira verso di lei.
Io ti vedo.

Lui non vede gli scarponi da montagna troppo grandi per lei, non vede i pantaloni con i tasconi pieni di matite e fogli accartocciati, non vede il maglione di pile azzurro elettrico, né la sciarpa che strisciando a terra ha raccolto foglie e rametti. La vede vestita di bianco, scalza, un fiore di campo tra i capelli, mentre sorride.
Lei vede solo quegli occhi, quelle lacrime che gli solcano le guance e vanno a nascondersi nella barba.
Quando finalmente si ferma di fronte a lui, alza la mano verso il suo viso, lui si abbassa, il suo corpo sa cosa fare. Lei non esita, la sua mano sa qual è il suo posto, gli sfiora la barba e si posa sulla linea della mascella.
Con un dito traccia il solco umido lasciato dalle lacrime, lasciando una scia di sangue.

Si guardano negli occhi, e quello che vedono è più di quello che dovrebbero.
Il presente è solo un attimo nell’infinito della loro esistenza.

-Io ti vedo.
-Sì, anch’io ti vedo.